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La malnutrizione del paziente oncologico
Stefano Cascinu
Professore ordinario di Oncologia Medica Università Vita-Salute, San Raffaele Milano
Fino a pochi anni fa il problema della nutrizione del paziente oncologico era considerato quasi esclusivamente in funzione alla prevenzione dei tumori. La questione posta da medici e ricercatori era semplice: è possibile fare prevenzione dei tumori attraverso la nutrizione?
Il concetto su cui l’attenzione si poneva era soprattutto “cosa mangiare”. Sono stati gli anni delle diete “prive di…”. Poi si è capito che forse il punto era “quanto mangiare”, in altre parole quante calorie venivano introdotte a fronte di quelle spese. Il controllo del peso e l’esplosione del problema obesità hanno focalizzato l’attenzione proprio su questi problemi. E non era di certo una questione irrilevante, visto che almeno nel 30% dei casi lo stile di vita e in particolare l’obesità è collegato ad alcuni grandi tumori come quello alla mammella, al colon o alla prostata.
L’altro grande problema nutrizionale dei malati oncologici è la cachessia neoplastica, un fenomeno complesso che si manifesta con perdita di peso e di massa magra. Per sopperire a tale problema si è cominciato a supportare in maniera indiscriminata i pazienti con nutrizione artificiale anche quando l’attesa di vita era veramente di qualche giorno. In questi ultimi anni si è affermata una nuova visione del problema nutrizione del paziente che non cancella le precedenti ma le integra. I chirurghi per primi hanno capito che i pazienti deficitari dal punto di vista nutrizionale presentavano recuperi più lenti o anche complicanze post chirurgiche che mettevano in crisi l’intero programma di cure.
Gli oncologi ci sono arrivati un po’ in ritardo, ma negli ultimi anni l’atteggiamento generale è completamente cambiato: ci si è resi conto che molti pazienti non sopportano i trattamenti necessari per combattere la malattia o anche nel periodo post-operatorio proprio a causa delle loro condizioni generali. Sotto questo aspetto lo stato nutrizionale del paziente gioca ovviamente un ruolo fondamentale. Si è quindi cominciato a supportare i pazienti – anche e soprattutto nella fase pre-operatoria – con valutazioni ad hoc, screening nutrizionali e, laddove necessario, si sono avviate terapie di nutrizione clinica.
Nonostante questo avanzamento nella gestione completa del malato oncologico, nella fase post operatoria si registrano ancora problemi, forse perché non si è ancora inteso alla perfezione quanto valga il supporto nutrizionale clinico in quei momenti, sia per via parenterale o enterale
Sia la Società Europea di Nutrizione che la Società Italiana di Oncologia Medica hanno provato a dare delle indicazioni negli ultimi anni. Non indicazioni generali ma un modello di comportamento: non si può applicare lo stesso protocollo ad ogni soggetto; è necessario eseguire uno screening iniziale del paziente alla prima visita oncologica per capire la sua situazione nutrizionale e poi agire di conseguenza in base a quelli che saranno i risultati.
L’approccio nutrizionale clinico deve essere personalizzato sulle necessità e i fabbisogni di ogni paziente, in base alle età, alle condizioni generali di salute, al tipo di programma terapeutico previsto. E, elemento non meno importante, come detto in precedenza deve essere fatto all’inizio del percorso oncologico sua presa in carico. Così facendo, quello dell’oncologo non è più un ruolo solitario nel percorso di cura; il nutrizionista è entrato ormai di diritto nel team che gestisce le neoplasie, per un lavoro continuo e di collaborazione.
Niente come la nutrizione è un continuum di cure e di attenzioni, perché la situazione nutrizionale di ogni paziente può variare in qualsiasi modo anche in brevissimo tempo.
La chemioterapia oggi è ancora la metodologia di cura oncologica tecnica più utilizzata, ma anche quando si utilizzano le nuove tecniche di cura come l’immunoterapia il tema della nutrizione dei pazienti oncologici resta centrale. È molto probabile, infatti, che in alcuni casi la non ottimale situazione nutrizionale del paziente comporti una non ottimale evoluzione del percorso dell’immunoterapia: si stimola il sistema immunitario ma non si hanno a disposizione quegli effettori che dovrebbero agire sul paziente, visto che un soggetto malnutrito avrà un sistema immunitario non funzionante alla perfezione.