ESMO CONGRESS 2025 BERLINO
PIÙ FORTI DEL CANCRO
In parte siamo già “più forti del cancro”, ma dobbiamo lavorare per esserlo sempre
Alessandro Pastorino, classe 1985, è nato a Genova, dove si è anche laureato e specializzato. Dirigente medico presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova. Dal 2017 Pastorino ricopre anche l’incarico di segretario scientifico delle Linee guida AIOM per il tumore del retto-ano, che contengono le raccomandazioni cliniche basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili per guidare i professionisti sanitari nella gestione dei pazienti oncologici e migliorare l’appropriatezza delle cure. La scelta di Pastorino di diventare medico e poi oncologo si è basata sia sull’interesse scientifico sia sulla volontà di contribuire al miglioramento dell’assistenza ai pazienti.
Dottore, cosa di preciso l’affascinava di questa professione?
«La mia scelta è dipesa dall’interesse scientifico e dalla volontà di contribuire al progresso in una disciplina che 15 anni fa era totalmente diversa da come la vediamo oggi. All’inizio della mia professione nel 2011, moltissimi tipi di tumore che erano ancora al palo dal punto di vista dei trattamenti, soprattutto le neoplasie gastrointestinali. I benefici delle terapie erano relativamente scarsi e le tossicità non trascurabili. Eravamo anche appena agli albori della profilazione molecolare e della personalizzazione delle cure. Quindi, ricordo di aver pensato che ci fossero margini di miglioramento molto marcati. Intravedere questo orizzonte di crescita ha sicuramente stimolato il mio interesse e l’impegno. Ho così deciso di poter fare la mia parte sia nella parte di ricerca che nell’assistenza ai pazienti che rimane un aspetto cruciale della nostra professione.»
A quali miglioramenti ha assistito dall’inizio della sua carriera a oggi?
«Tantissimi. Sul fronte della diagnosi e cura del tumore al colon-retto ho assistito a una moltitudine di miglioramenti. Oggi, ad esempio, abbiamo un ventaglio di opzioni terapeutiche che fino a 6-7 anni fa erano impensabili. I risultati a cui hanno portato questi miglioramenti sono straordinari: la sopravvivenza media e il tasso di risposta, anche nei pazienti in cui il tumore si è diffuso in altre sedi, quindi con metastasi, e quindi con prognosi sfavorevole fino a pochi anni fa, ha raggiunto livelli assolutamente imparagonabili rispetto al passato e che potrebbe aumentare ancora di più nel prossimo futuro. Questo si deve alla nostra migliore capacità di selezionare i pazienti e assegnare loro a trattamenti mirati in base alle caratteristiche molecolari del tumore. Più impariamo a conoscere il tumore, maggiore diventa anche la nostra capacità di contrastarlo.»
Può farci qualche esempio concreto di progresso?
«Se prendiamo in considerazione il tumore del colon-retto metastatico, negli ultimi cinque anni abbiamo individuato biomarcatori che identificano sottopopolazioni di pazienti che possono avere un beneficio enorme da alcuni specifici trattamenti. Mi riferisco, ad esempio, ai pazienti con tumore caratterizzato da instabilità microsatellitare (MSI): sono pochi casi, circa il 5% del totale dei pazienti con metastasi. Ebbene, per questi pazienti l’immunoterapia può portare alla guarigione, nonostante la malattia sia diffusa. Ancora più sfidante è l’utilizzo dell’immunoterapia nella malattia non metastatica, ma questo è ancora in fase di studio sebbene le evidenze siano già sorprendenti. Per tutti gli altri pazienti abbiamo comunque la possibilità di scegliere i migliori trattamenti in base al profilo molecolare.»
A ognuno la sua terapia?
«Esattamente. È la personalizzazione delle cure, in particolare con le terapie target. Ad esempio, per i tumori con mutazioni BRAF, un’alterazione che è sempre stata considerata nefasta, avremo nel prossimo futuro la possibilità di utilizzare terapie target, in associazione alla chemioterapia di prima linea raddoppiando la sopravvivenza. E ancora: nei pazienti con tumori che non presentano mutazioni né BRAF né KRAS, possiamo utilizzare una terapia anti-EGFR in associazione alla chemioterapia. Per il prossimo futuro, se i risultati dei trial in corso saranno positivi, potremo utilizzare altre terapie target per alterazioni come HER2 e KRAS G12C.»
Grazie a questi progressi, secondo lei, quando potremo dire di essere davvero più forti del cancro?
«In realtà, per alcune tipologie di tumore del colon lo siamo già. Mi riferisco, in particolare, alle neoplasie con instabilità microsatellitare. Nei tumori del retto MSI, oggi, la sola immunoterapia può portare alla guarigione senza dover ricorrere a chemioradioterapia e all’intervento chirurgico con enorme risparmio di tossicità e miglioramento della qualità di vita. Quindi, la mia risposta è sì, in alcune situazioni specifiche siamo già più forti del cancro e lo siamo grazie alla selezione molecolare dei pazienti e alla scelta di trattamenti personalizzati. Rimangono però ancora molti campi in cui il bisogno di innovazione e miglioramento è marcato per cui ora dobbiamo lavorare per colmare questi gap. Un obiettivo, quest’ultimo, a cui ci si può avvicinare grazie alla ricerca e all’assistenza quotidiana ai pazienti.»
