ESMO CONGRESS 2025 BERLINO
PIÙ FORTI DEL CANCRO
L’immunoterapia ha rivoluzionato la cura del tumore, ma non bisogna mai dimenticare la prevenzione
Con il giubbotto di pelle in sella alla sua Harley Davidson o con gli stivali di gomma tra i vigneti che ha ereditato da suo nonno. Mentre nel weekend indossa la sua intoccabile maglia bianconera e, quando può, va allo stadio o altrimenti si mette davanti alla tv. È davvero un mistero come Paolo Antonio Ascierto, un luminare nel campo della cura del melanoma, riesca a conciliare così tante passioni con i suoi innumerevoli impegni in clinica e in laboratorio. Per non parlare delle numerose iniziative di sensibilizzazione organizzate dalla Fondazione Melanoma, che presiede. Gran parte delle giornate Ascierto le trascorre in camice bianco all’IRCCS Pascale di Napoli, dove dirige l’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative. Nello stesso istituto lavora sua moglie, Maria Teresa Melucci, che si occupa di tumore al seno. Poi ci sono i figli Marco e Luca, che lo seguono ovunque con grande ammirazione. Di recente è stato nominato anche professore ordinario di oncologia all’Università Federico II di Napoli.
Professore, sembrerebbe che lei sia nato con il camice bianco, vero?
«In realtà, non avevo mai pensato di diventare medico, almeno fino al primo anno di università. Il mio sogno era quello di indossare la stessa divisa di mio padre, che era un appuntato dei Carabinieri. Ma lui non voleva che seguissi la sua stessa strada. In famiglia c’era già mio fratello che era entrato nell’Arma. Mio padre voleva che mi laureassi e così, quasi a malincuore, mi iscrissi a Ingegneria Chimica a Napoli. Mi sentivo fuori posto e scoprii che mi piaceva la ricerca. Poi dopo una chiacchierata sincera con un mio professore, decisi di cambiare e iscrivermi a Medicina. L’interesse per l’oncologia nacque intorno al quarto anno di studi e già dai primi anni ‘90 ho iniziato a occuparmi di melanoma, il tumore della pelle più aggressivo.»
Più di 30 anni a osservare, studiare e combattere lo stesso nemico. Può fare un bilancio?
«L’oncologia ha assistito a un’innovazione rivoluzionaria con l’introduzione dell’immunoterapia, che si è affermata come un vero “game changer” nella lotta contro il melanoma. I risultati raggiunti sono stati straordinari. La storia di Jimmy Carter, il 39° presidente degli Stati Uniti, ne è un esempio. Nel 2015, a 90 anni, gli fu diagnosticato un melanoma, ma grazie all’immunoterapia con pembrolizumab, la prima terapia anti PD1, e alla radioterapia, ottenne una remissione completa e definitiva. Al contrario, Bob Marley, il leggendario cantautore reggae, morì di melanoma nel 1981 a soli 36 anni, in un’epoca in cui non esistevano terapie efficaci per la sua malattia. Questo contrasto sottolinea il profondo cambiamento che l’immunoterapia ha portato nel trattamento del cancro.»
Per quali pazienti è indicata questa terapia e l’immunoterapia in generale?
«Questa prima immunoterapia è stata approvata negli Stati Uniti nel 2014 e in Europa nel 2015 per il melanoma avanzato non resecabile o metastatico. Ma abbiamo subito capito che poteva essere efficace in diverse fasi della malattia. Molti studi clinici, alcuni presentati proprio ai congressi ESMO, ne hanno confermato il valore, sia nei pazienti trattati precedentemente con altre terapie senza successo e sia in prima linea. Da questo momento in poi l’immunoterapia ha iniziato a offrire alternative in grado di aumentare la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti, prevenendo anche le recidive.»
Quali novità ha portato a ESMO quest’anno?
«Sul fronte del melanoma abbiamo presentato due studi molto importanti. Il primo è CheckMate 238, pubblicato anche sul New England Journal of Medicine, il quale dimostra che l’immunoterapia adiuvante è efficace fino a 10 anni dopo. Si tratta del follow-up più lungo mai registrato per un immunoterapico somministrato dopo l’intervento chirurgico nei pazienti con melanoma resecato ad alto rischio. Inoltre, in un’analisi successiva abbiamo osservato che l’immunoterapia funziona meglio, e con meno effetti collaterali, quando somministrata la mattina, prima delle ore 13. Nel secondo studio presentato, invece, abbiamo dimostrato per la prima volta che il vaccino “fisso” BNT111, più facile ed economico da produrre rispetto ai vaccini personalizzati, è in grado di raddoppiare il tasso di risposta nei pazienti con melanoma avanzato e resistenti a più trattamenti standard, sia in combinazione con l’immunoterapia che da solo. In una popolazione refrattaria ad altri trattamenti, vedere risposte obiettive, incluse remissioni complete, è un risultato davvero incoraggiante.»
Nonostante questi progressi, la sua più importante battaglia riguarda la prevenzione. Perché?
«Perché il melanoma si può prevenire. E prevenire è sempre meglio che curare. Infatti, per quanti progressi abbiamo fatto di melanoma si muore ancora. Non mi stancherò mai di dire che dobbiamo proteggerci dai fattori di rischio che dipendono perlopiù dall’esposizione ai raggi UV. Usiamo quindi sempre la crema protettiva, in estate e in inverno, ed evitiamo i lettini abbronzanti. Mi fa rabbia vedere ancora così tanti giovani che non seguono queste poche regole. È per questo che con la Fondazione Melanoma continuiamo a promuovere campagne di informazione e visite gratuite in tutta Italia.»
